Cancellare notizie da Google AI MODE, Perplexity e ChatGPT

Cancellare notizie da Google AI MODE, Perplexity e ChatGPT

By Alessio Di Lella

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Nel nuovo scenario digitale, il diritto all’oblio ha varcato definitivamente i confini dei motori di ricerca per addentrarsi nel territorio ancora incerto dell’intelligenza artificiale. L’evoluzione tecnologica ha trasformato la memoria del web in un sistema distribuito e perpetuo, dove informazioni, testi e immagini vengono indicizzate, replicate e utilizzate per l’addestramento di modelli linguistici come ChatGPT, Gemini, Perplexity e, più recentemente, Google AI MODE. In tale contesto, la possibilità di cancellare una notizia o un dato personale non è più una semplice questione di deindicizzazione, ma di effettivo controllo sul ciclo di vita dell’informazione, dalla pubblicazione all’elaborazione automatica.

Il principio del “diritto ad essere dimenticati”, riconosciuto per la prima volta dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea nel 2014 con la sentenza Google Spain SL e Google Inc. c. Agencia Española de Protección de Datos (C-131/12), è divenuto un pilastro della tutela dei dati personali. Tuttavia, le piattaforme di intelligenza artificiale, che non si limitano a indicizzare ma elaborano, sintetizzano e generano contenuti, pongono nuove sfide interpretative e operative al legislatore e alle autorità garanti.

Dalla deindicizzazione alla cancellazione: la differenza giuridica tra Google, Bing e Yahoo!

Quando una persona desidera eliminare una notizia dal web, il primo passaggio è comprendere la differenza tra cancellazione e deindicizzazione. Nel sistema tradizionale, i motori di ricerca come Google o Bing non cancellano il contenuto dalla fonte originaria, ma rimuovono i collegamenti dai risultati di ricerca associati al nome dell’interessato. È quanto ribadito dalle Linee guida WP225 del Gruppo Articolo 29, le quali chiariscono che la deindicizzazione “non impone la cancellazione totale della notizia da internet, poiché l’informazione rimane comunque accessibile attraverso chiavi di ricerca diverse o accedendo direttamente al sito di provenienza.

Il diritto all’oblio si esercita in base all’art. 17 del Regolamento (UE) 2016/679 (GDPR), che riconosce all’interessato il diritto di ottenere dal titolare del trattamento la cancellazione dei dati personali che lo riguardano senza ingiustificato ritardo, in presenza di determinati presupposti, come la cessazione della finalità del trattamento o l’illiceità della pubblicazione.

I motori di ricerca, qualificati come titolari autonomi del trattamento, devono quindi valutare, caso per caso, la sussistenza di un interesse pubblico prevalente rispetto al diritto individuale alla riservatezza. Tale valutazione, secondo la Corte di giustizia, deve tenere conto della natura dei dati, della loro attualità e del ruolo pubblico ricoperto dall’interessato.

In Italia, la procedura di deindicizzazione segue il modulo predisposto da Google, che richiede l’indicazione precisa degli URL contestati, una motivazione adeguata e la documentazione legale utile a valutare la richiesta. In caso di rigetto, l’interessato può rivolgersi al Garante per la protezione dei dati personali o proporre ricorso dinanzi all’autorità giudiziaria ordinaria. È importante sottolineare che l’obbligo di contattare preventivamente il sito web sorgente non sussiste, come chiarito espressamente nelle linee guida europee, poiché il trattamento effettuato dal motore di ricerca è distinto e autonomo rispetto a quello dell’editore.

Giurisprudenza e casi recenti: la Cassazione n. 14488/2025 e il principio della proporzionalità

La giurisprudenza italiana ha progressivamente consolidato il diritto all’oblio come strumento di tutela sostanziale della dignità e dell’identità digitale. Tra le decisioni più recenti, la sentenza della Corte di Cassazione n. 14488 del 2025 ha ribadito che la deindicizzazione deve essere valutata in base al principio di proporzionalità, bilanciando la libertà di informazione con la tutela dei dati personali.

In particolare, la Suprema Corte ha precisato che il diritto all’oblio non comporta la cancellazione storica di un fatto vero e lecito, ma impedisce che esso venga riproposto in modo tale da riattualizzare un pregiudizio ormai superato.

Già il cosiddetto “caso Pezzano”, oggetto di grande attenzione mediatica e giuridica, aveva introdotto la distinzione tra diritto all’oblio e diritto alla reputazione, sottolineando la necessità di valutare l’impatto delle informazioni digitali sulla vita privata e professionale del soggetto interessato. In tale contesto, gli Avvocati Angelica Parente e Domenico Bianculli hanno contribuito a delineare un modello operativo di tutela che integra l’azione legale tradizionale con strategie di reputation management, ponendo l’accento sulla responsabilità dei motori di ricerca come soggetti autonomi rispetto agli editori. La Cassazione ha inoltre ribadito che la tutela può essere richiesta anche in assenza di errori o illiceità del contenuto, qualora la permanenza online non risponda più a un interesse pubblico attuale.

Tale impostazione si inserisce nel solco della giurisprudenza europea, che considera “ingiustificata” la diffusione di informazioni veritiere ma obsolete, in quanto suscettibili di determinare un pregiudizio sproporzionato ai diritti dell’interessato.

Il Garante Privacy e la tutela dei soggetti indirettamente identificabili

Un’importante evoluzione interpretativa è stata introdotta dal Garante per la protezione dei dati personali con il provvedimento n. 30 del 26 gennaio 2023, nel quale l’Autorità ha riconosciuto il diritto alla deindicizzazione anche in casi di identificazione indiretta. Ciò significa che, anche se un articolo non contiene il nome dell’interessato, la combinazione di elementi contestuali (luogo, ruolo, vicende specifiche) può rendere la persona identificabile agli occhi di un pubblico qualificato.

Il Garante ha affermato che la pubblicazione eccessivamente dettagliata di informazioni di questo tipo può ledere la dignità e la riservatezza, imponendo la rimozione dei link dai risultati di ricerca. Tale orientamento trova fondamento nelle Linee Guida 5/2019 del Comitato Europeo per la Protezione dei Dati (EDPB), che ampliano l’ambito di applicazione dell’art. 17 GDPR e precisano che il diritto alla cancellazione può essere esercitato anche nei confronti di dati non nominativi, quando il collegamento con la persona sia ragionevolmente desumibile. Questo principio apre la strada a nuove forme di tutela nei casi di esposizione mediatica indiretta, specialmente per soggetti vulnerabili o coinvolti in procedimenti giudiziari non più attuali.

Nella prassi, l’applicazione di tali criteri richiede un bilanciamento accurato tra libertà di stampa, diritto di cronaca e riservatezza individuale, con un ruolo crescente delle Autorità Garanti nel mediare tra le esigenze informative e le pretese di rimozione.

ChatGPT, Google AI MODE e Perplexity: la nuova memoria dell’intelligenza artificiale

La sfida più complessa si manifesta oggi con l’ingresso delle intelligenze artificiali generative, le quali non si limitano a indicizzare contenuti ma li rielaborano, li sintetizzano e li riproducono in forme testuali nuove. ChatGPT, Google AI MODE, Gemini e Perplexity sono sistemi che apprendono su vasti insiemi di dati provenienti dal web, comprese pagine indicizzate, social network e archivi pubblici.

Ciò significa che informazioni personali o notizie datate possono riemergere attraverso risposte generate automaticamente, anche se non più disponibili nei motori di ricerca.

A differenza di Google Search, tali piattaforme non dispongono ancora di una procedura formalizzata per l’esercizio del diritto all’oblio. OpenAI, ad esempio, consente la richiesta di rimozione solo per dati sensibili contenuti in prompt o output generati, ma non prevede un diritto alla cancellazione dal modello linguistico addestrato. Analoga è la posizione di Perplexity e Anthropic, che riconoscono la possibilità di segnalazione ma non garantiscono un intervento strutturale sulla memoria del sistema.

In tale scenario, l’assenza di una normativa specifica espone gli utenti al rischio di una memoria algoritmica permanente, che conserva e ripropone informazioni anche in contesti diversi da quello originario. Alcune riviste internazionali, tra cui Forbes, hanno già documentato casi di richieste di rimozione accolte in via sperimentale, segnalando l’esigenza di un quadro regolatorio uniforme.

La questione si intreccia con il principio di accountability sancito dall’art. 5 del GDPR, che impone ai titolari del trattamento di garantire trasparenza e limitazione della conservazione. Tuttavia, la natura non deterministica dei modelli di AI rende complesso distinguere tra “memorizzazione” e “apprendimento statistico”, ponendo interrogativi di ordine tecnico e giuridico sulla possibilità di “disimparare” un’informazione, cioè rimuoverla dall’addestramento senza compromettere l’integrità del modello.

Verso un diritto alla revoca algoritmica dei dati

L’evoluzione del diritto all’oblio verso l’intelligenza artificiale impone una ridefinizione del concetto stesso di cancellazione. Non si tratta più soltanto di eliminare un link o oscurare un nome, ma di garantire che un’informazione non venga più utilizzata come base di inferenze o risposte automatiche. In questo senso, alcuni studiosi hanno proposto l’introduzione di un “diritto alla revoca algoritmica”, quale estensione dell’art. 17 GDPR, che obblighi i titolari di modelli di AI a rimuovere dai dataset di addestramento ogni informazione personale il cui trattamento sia stato revocato.

La prospettiva di un tale diritto implica la cooperazione tra sviluppatori, autorità garanti e istituzioni europee, soprattutto in vista dell’attuazione dell’AI Act, il regolamento europeo sull’intelligenza artificiale che pone al centro i principi di trasparenza, sicurezza e rispetto dei diritti fondamentali.

La sfida consiste nel coniugare la libertà di ricerca scientifica e innovazione con la tutela della persona umana, riconoscendo a ciascuno il potere di controllare la propria identità digitale in un ambiente sempre più automatizzato e interconnesso.

Il diritto all’oblio, nato come strumento di protezione nel contesto dei motori di ricerca, si trova oggi di fronte a una nuova frontiera: quella delle intelligenze artificiali generative e delle memorie distribuite. Se nel 2014 il problema era la permanenza di un link su Google, nel 2026 la questione riguarderà la permanenza di un’informazione all’interno di un modello linguistico che apprende, interpreta e rigenera i dati.

Il futuro della tutela della privacy digitale dipenderà dalla capacità delle istituzioni di estendere i principi del GDPR al nuovo ecosistema cognitivo, imponendo regole di accountability algoritmica e garantendo un diritto effettivo alla cancellazione. Solo in questo modo sarà possibile assicurare che la memoria artificiale resti al servizio dell’uomo e non diventi, al contrario, uno strumento di condizionamento permanente della sua identità.

DIRITTO ALL’OBLIO SULLE INTELLIGENZE ARTIFICIALI – 20 DOMANDE FREQUENTI CHE TI POTREBBERO INTERESSARE

1. Cos’è il diritto all’oblio su Google?
È il diritto di chiedere la rimozione dei risultati di ricerca che contengono informazioni personali non più pertinenti, obsolete o lesive, quando vengono visualizzati digitando il proprio nome su Google o altri motori di ricerca.

2. Come posso chiedere a Google di cancellare una notizia?
Tramite il modulo online di deindicizzazione disponibile sul sito di Google, allegando un documento d’identità e indicando gli URL delle pagine da rimuovere.

3. Il diritto all’oblio è previsto dal GDPR?
Sì. L’articolo 17 del Regolamento (UE) 2016/679 riconosce il diritto dell’interessato a ottenere la cancellazione dei propri dati personali (“diritto all’oblio”).

4. Qual è la differenza tra cancellazione e deindicizzazione?
La deindicizzazione rimuove i link dai risultati di ricerca, ma il contenuto resta online. La cancellazione implica invece la rimozione del dato anche dalla fonte originale.

5. Posso far cancellare una notizia vera ma vecchia?
Sì, se la notizia non ha più attualità o interesse pubblico. La Corte di Cassazione (sent. n. 14488/2025) ha confermato che la verità del fatto non basta a giustificare la sua permanenza online.

6. È possibile cancellare notizie giudiziarie superate o prescritte?
Sì. La giurisprudenza ammette la deindicizzazione per notizie su procedimenti penali conclusi o prescritti, quando la loro permanenza arreca un danno alla reputazione.

7. Quali documenti servono per esercitare il diritto all’oblio?
Documento d’identità, elenco degli URL da rimuovere, motivazione giuridica (obsolescenza, inesattezza, irrilevanza, lesione).

8. Google può rifiutare la cancellazione di una notizia?
Sì, se la notizia ha ancora rilievo pubblico o interesse storico. In caso di rifiuto, l’interessato può rivolgersi al Garante Privacy o al Tribunale ordinario.

9. Quanto tempo impiega Google a rispondere a una richiesta di rimozione?
Generalmente tra i 30 e i 90 giorni, a seconda della complessità del caso e del numero di URL segnalati.

10. È possibile ottenere la cancellazione anche da Bing o Yahoo?
Sì. Tutti i principali motori di ricerca hanno moduli dedicati per la deindicizzazione, analoghi a quello di Google.

11. Cosa succede se la notizia è stata replicata su altri siti?
Ogni sito o motore di ricerca va interpellato separatamente, poiché ciascuno è autonomo titolare del trattamento dei dati.

12. Posso chiedere la cancellazione di notizie da ChatGPT o da altri sistemi di AI?
Attualmente non in modo pienamente efficace: ChatGPT e altre AI non offrono moduli di rimozione dei dati. Tuttavia è possibile segnalare contenuti errati o sensibili.

13. L’intelligenza artificiale è obbligata a rispettare il diritto all’oblio?
Sì, in linea di principio. L’art. 17 GDPR si applica a tutti i titolari del trattamento, ma la tecnologia di apprendimento automatico rende complessa l’attuazione del diritto.

14. Esiste una normativa europea specifica per l’AI?
Sì. L’AI Act europeo, approvato nel 2024, introduce regole sulla trasparenza, la tracciabilità dei dati e il rispetto dei diritti fondamentali, inclusa la protezione dei dati personali.

15. Cosa prevede l’art. 17, paragrafo 2, del GDPR?
Prevede che il titolare che ha reso pubblici i dati debba adottare misure ragionevoli per informare gli altri titolari che li stanno trattando affinché cancellino copie e collegamenti.

16. Quali sono le Linee Guida EDPB sul diritto all’oblio?
Le Linee Guida 5/2019 stabiliscono i criteri per valutare le richieste di deindicizzazione, incluse le ipotesi di identificazione indiretta dell’interessato.

17. Che ruolo ha il Garante Privacy italiano in materia di oblio digitale?
Il Garante può ordinare la rimozione o la deindicizzazione dei dati e sanzionare i titolari che non rispettano le disposizioni del GDPR.

18. È possibile ottenere anche la cancellazione di immagini e video?
Sì, se il contenuto visivo è lesivo o non pertinente, è possibile richiedere la deindicizzazione delle immagini dai risultati di ricerca Google Immagini.

19. Esiste un diritto all’oblio “algoritmico”?
È una frontiera emergente: consiste nella possibilità di rimuovere i propri dati dai dataset di addestramento delle AI. Sarà regolato dall’AI Act e dai futuri aggiornamenti del GDPR.

20. Posso rivolgermi a un avvocato per cancellare notizie da internet?
Sì. Un avvocato esperto in diritto all’oblio e tutela della reputazione online può predisporre la richiesta formale a Google, l’eventuale reclamo al Garante e l’azione giudiziaria in caso di rigetto.

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