Presentare ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria
Novembre 14, 2024
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Affrontare un contenzioso tributario rappresenta un percorso complesso, spesso percepito come impegnativo ed a tratti scoraggiante per chiunque non sia addentro alla materia. Tuttavia, quando si ritiene che l’amministrazione fiscale abbia operato un’ingiustizia o interpretato in modo errato le norme, il sistema giuridico italiano offre uno strumento fondamentale: il ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria. Questo articolo intende fornire un quadro chiaro per orientare i contribuenti che, pur non essendo avvocati, desiderano comprendere meglio le fasi e gli aspetti principali di un procedimento tributario.
Perché ricorrere alla Corte di Giustizia tributaria?
Il ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria è una facoltà prevista al fine di contestare atti impositivi dell’amministrazione fiscale, come ad esempio avvisi di accertamento, cartelle esattoriali o avvisi di liquidazione. Ricorrere non è solo una manifestazione di dissenso, ma anche l’opportunità di vedere riconosciute le proprie ragioni davanti a un giudice terzo e imparziale. È, quindi, uno strumento di tutela effettiva del contribuente.
Presentare ricorso, tra le altre cose, può essere determinante anche per ottenere una sospensione temporanea dell’atto, e quindi per prendere tempo, laddove il contribuente possa subire un danno grave e immediato a causa dell’esecuzione forzata del tributo, come ad esempio blocco di conti bancari o, nei casi più estremi, il pignoramento di beni.
Quando si può fare ricorso?
Appare utile chiarire che non tutti gli atti dell’Agenzia delle Entrate o dell’Agenzia delle Entrate – Riscossione (prima Equitalia) sono impugnabili. Tra gli atti tipicamente impugnabili figurano:
- Avviso di accertamento: l’atto con cui l’amministrazione contesta un maggiore reddito imponibile e richiede quindi il pagamento di maggiori imposte;
- Cartella esattoriale: un avviso che segue un accertamento divenuto definitivo e richiede il pagamento entro termini perentori;
- Avviso di liquidazione: utilizzatore per richiedere imposte di registro, di successione e donazione o altre imposte indirette;
- Provvedimenti di diniego di rimborsi o agevolazioni.
Questa ovviamente è una lista tassativa ma esemplificativa degli atti che possono impugnarsi di fronte alla Corte di giustizia Tributaria.
I termini per proporre ricorso variano a seconda del tipo di atto: in genere, per un avviso di accertamento, il contribuente ha 60 giorni di tempo dalla notifica per presentare ricorso.
È bene chiarire, però che in base all’art. 2946 del Codice Civile , i tributi locali spesso si prescrivono in 10 anni, salvo termini diversi previsti da leggi specifiche (ad esempio, i tributi locali spesso si prescrivono in 5 anni, come stabilito dall’art. 1, comma 163, della Legge n. 296/2006 ). La giurisprudenza ha più volte confermato che la notifica irregolare o tardiva di una cartella rende nullo l’atto esattoriale, come riferisce anche la Cassazione Civile, Sez. VI, sentenza n. 20213/2020. Se il contribuente dimostra che la cartella è stata notificata oltre i termini prescritti, la Corte di Giustizia Tributaria ha il potere di annullarla.
Come si presenta un ricorso alla Corte di giustizia tributaria?
Il ricorso può essere presentato in modalità telematica tramite il Processo Tributario Telematico (PTT), accessibile dal sito del Ministero dell’Economia e delle Finanze. Questo sistema permette di depositare al destinatario, inviare documenti e monitorare l’andamento della causa senza doversi recare fisicamente in tribunale.
Il deposito telematico è oggi obbligatorio per la gran parte delle controversie, e richiede che il ricorrente (o il suo rappresentante) sia dotato di una firma digitale e di una PEC (Posta Elettronica Certificata) per le comunicazioni. I documenti devono essere conformi agli standard digitali previsti, pena l’inammissibilità del ricorso.
Come dicevamo nel paragrafo precedente, laddove riscossione dell’imposta contestata dovesse creare difficoltà economiche gravi e immediate, è possibile richiedere, attraverso il ricorso, la sospensione temporanea dell’efficacia dell’atto impugnato. La sospensiva è un provvedimento provvisorio, concesso dalla Corte solo in presenza di due condizioni essenziali:
- Gravità del danno, in questo senso il contribuente deve dimostrare che il pagamento causerebbe un danno irreparabile.
- Fumus boni iuris, qui è necessario dimostrare che le ragioni alla base del ricorso siano plausibili e meritevoli di approfondimento.
Quest’ultimo, ad onore di comprensione, nel lessico forense on è altro che un requisito fondamentale nei procedimenti cautelari, ossia in quei procedimenti che richiedono l’intervento urgente del giudice per preservare diritti o situazioni giuridiche che rischiano di essere irrimediabilmente compromessi se si attendesse la conclusione di un processo ordinario.
Invero, in sede tributaria, il fumus boni iuris è particolarmente importante quando si richiede per l’appunto la sospensione temporanea di pagamenti, come imposte o sanzioni, che potrebbero generare un danno grave e irreparabile al contribuente se eseguiti prima della decisione definitiva.
Le conseguenze di una sentenza favorevole o sfavorevole
Se la Corte di Giustizia Tributaria accoglie il ricorso, l’atto impugnato viene annullato, e il contribuente non è tenuto al pagamento del tributo contestato. In caso di esito parziale, invece, la Corte potrebbe disporre una riduzione dell’importo, stabilendo una nuova somma dovuta.
Se il ricorso viene respinto, invece, il contribuente dovrà procedere al pagamento delle somme richieste dall’amministrazione, oltre a eventuali sanzioni e interessi. Tuttavia, il contribuente ha il diritto di presentare appello alla Corte di secondo grado, qualora vi siano validi motivi per ritenere che la decisione di primo grado sia errata.
Un esempio di ricorso per contestare un avviso di accertamento per redditi omessi
La contestazione di un avviso di accertamento può basarsi, ad esempio, sull’illegittimità dell’accertamento induttivo, regolato dall’art. 39 del DPR nr. 600/1973 , che consente all’Agenzia delle Entrate di ricostruire il reddito quando vi siano gravi irregolarità nella contabilità del contribuente. Tuttavia, la Corte di Cassazione ha stabilito in più occasioni che l’accertamento deve essere basato su elementi oggettivi e non su semplici presunzioni (Cass. Civ., Sez. V, sentenza n. 23550/2019). Se il contribuente riesce a dimostrare la legittimità dei propri documenti e l’infondatezza delle presunzioni, la Corte di Giustizia Tributaria potrebbe accogliere il ricorso.
Un elemento ricorrente nelle sentenze della Corte di Cassazione e delle Corti di Giustizia Tributaria è l’applicazione del principio di proporzionalità e buona fede nel contenzioso.
La sentenza n. 22810/2019 della Corte di Cassazione ha sottolineato che le sanzioni devono essere proporzionate all’entità della violazione e alle circostanze del caso.
Questi esempi e riferimenti giurisprudenziali dimostrano come, con una strategia ben documentata e basata su norme e precedenti consolidati, sia possibile affrontare un contenzioso tributario con maggiore consapevolezza.
RICORSO ALLA CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA – 5 DOMANDE FREQUENTI CHE POTREBBERO INTERESSARTI
1. Quali sono i principali motivi per presentare un ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria?
Il ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria è indicato quando si ritiene che un atto dell’amministrazione fiscale, come un avviso di accertamento o una cartella esattoriale, sia illegittimo o errato. È uno strumento di difesa del contribuente che consente di impugnare l’atto, ottenere una valutazione indipendente e, se possibile, annullare o ridurre l’importo contestato.
2. Quali atti dell’Agenzia delle Entrate sono impugnabili davanti alla Corte di Giustizia Tributaria?
Tra gli atti impugnabili figurano l’avviso di accertamento, la cartella esattoriale, l’avviso di liquidazione, e i provvedimenti di diniego di rimborsi o agevolazioni fiscali. È importante sapere che non tutti gli atti fiscali possono essere impugnati; alcuni sono definitivi o non soggetti a ricorso.
3. Qual è la procedura per richiedere la sospensione dell’efficacia dell’atto contestato?
È possibile richiedere la sospensione temporanea dell’atto se il contribuente dimostra di subire un danno grave e immediato, come il rischio di pignoramento dei beni. Per ottenere la sospensione, bisogna dimostrare due elementi essenziali: il “fumus boni iuris” (presunzione della validità del ricorso) e la gravità del danno che il pagamento del tributo causerebbe.
4. Come si presenta un ricorso tramite il Processo Tributario Telematico (PTT)?
Il ricorso può essere presentato telematicamente attraverso il PTT, disponibile sul sito del Ministero dell’Economia e delle Finanze. È necessario possedere una firma digitale e una PEC per le comunicazioni. Questo sistema consente di depositare il ricorso e monitorare la causa senza recarsi fisicamente presso la Corte.
5. Cosa succede se la Corte di Giustizia Tributaria respinge il ricorso?
Se il ricorso viene respinto, il contribuente è obbligato a pagare le somme richieste, comprensive di eventuali sanzioni e interessi. Tuttavia, se ci sono validi motivi per ritenere che la decisione sia errata, è possibile presentare appello alla Corte di secondo grado per ottenere una nuova valutazione del caso.